La liquidazione delle spese per la difesa del dipendente pubblico prosciolto nel merito dalla Corte dei Conti, si fa più strada.

Anonimo

In tema di liquidazione delle spese legali al dipendente pubblico definitivamente prosciolto per la difesa davanti alla Corte dei Conti, in un mio precedente articolo dell’aprile 2021 ho esposto la normativa vigente, la sua interpretazione da parte della Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza  19195/2013 e la successiva pronuncia della Corte Costituzionale n. 189/2020 che ha ribaltato l’interpretazione dell’art. 10 bis, comma 10, del D.L. n. 203/2005, convertito dalla legge n. 248/2005, che così recita: “le disposizioni dell’art. 3, comma 2-bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”. La norma è stata integrata dall’ art. 17, co. 30 quinquies, del D.L. n. 78/2009, convertito dalla L. n. 102/2009, che ha disposto che: “all’art. 10-bis, comma 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: procedura civile, sono inserite le seguenti: non può disporre la compensazione delle spese del giudizio”.

La Cassazione, con  la sentenza 19195/2013 citata,  decidendo difformemente da precedenti pronunce dello stesso Consesso, sia pure attinenti alla giurisdizione  (Cass. Sezioni Unite Civili, 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014) ha negato che, a seguito del definitivo proscioglimento nel merito dell’incolpato, si potesse procedere alla liquidazione in suo favore delle spese legali in  misura  diversa rispetto a quanto stabilito dalla stessa Corte dei Conti, sicchè il dipendente pubblico prosciolto, dopo aver erogato il compenso professionale, secondo le tariffe vigenti, al proprio difensore, si trova nella situazione di ottenere dall’amministrazione di appartenenza una somma, spesso irrisoria, stabilita  da parte della Corte dei Conti con la sentenza di proscioglimento.

Sull’argomento della liquidazione delle spese del dipendente prosciolto alla Corte dei Conti è intervenuta la Corte Costituzionale  con la sentenza 189/2020  affermando che Al riguardo va rilevato che – ferma restando la regolamentazione da parte del giudice contabile delle spese del relativo giudizio – deve essere distinto il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l’incolpato, poi assolto o prosciolto, e l’amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa. Sia la giurisprudenza ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014)”.   Come esposto nella sentenza della Sez. III del Consiglio di Stato n.3779/2017, circa il diritto al rimborso “Diversamente opinando si ammetterebbe infatti che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente, condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile ,come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato (come apparentemente successo nella specie, all’esito del secondo grado di giudizio innanzi la Corte dei Conti) o addirittura l’eventuale compensazione delle spese (come avvenuto nel caso di specie, con la sentenza di primo grado del giudice contabile) il che sarebbe senz’altro incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso sopra affermato, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense”.

Con riferimento al rimborso delle spese legali di cui alla normativa sopra richiamata, occorre prendere atto del significativo mutamento  di posizione dell’Avvocatura Generale dello Stato. L’Avvocatura di Stato è chiamata, ex art. 10 bis, comma 10, del D.L. n. 203/2005, convertito dalla legge n. 248/2005, a dare il parere di congruità sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza. Con la circolare n.11/2021, l’Avvocatura  Generale ha modificato il proprio orientamento, prima riferito al parere sulla sola liquidazione delle spese legali disposta con la sentenza del giudice contabile, affermando che, nel rispetto dei requisiti fissati dall’art.18 del D.L. n.67/1997 convertito,  poteva   trovare ingresso la valutazione della parcella del difensore del dipendente definitivamente prosciolto nel merito,  ai fini del suo rimborso.

Tale procedura peraltro riguarda solo i dipendenti delle amministrazioni per le quali l’Avvocatura di Stato può emettere la sua valutazione e pertanto, ai sensi dell’art..18 del D.L. citato i dipendenti delle amministrazioni di Stato.

Per  i dipendenti  di altri enti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità amministrativa esiste un vero caos normativo, in relazione ai diversi contratti collettivi nazionali stipulati per le varie categorie dell’impiego pubblico. Solo per gli amministratori degli enti locali è intervenuto il legislatore con  il D.L. n.78/2015 convertito  con modificazioni con la legge 125/2015,  che ha previsto che gli enti locali senza nuovi  o  maggiori  oneri  per  la  finanza  pubblica,  possono assicurare  i  propri  amministratori  contro  i  rischi  conseguenti all’espletamento del loro mandato. Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali e’  ammissibile,  senza  nuovi  o  maggiori oneri per la finanza  pubblica,  nel  limite  massimo  dei  parametri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 ( parametri di liquidazione compensi professionali) nel caso di conclusione del  procedimento  con sentenza di assoluzione  o  di  emanazione  di  un  provvedimento  di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti:    a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato;  b) presenza di nesso causale  tra  funzioni  esercitate  e  fatti giuridicamente rilevanti;  c) assenza di dolo o colpa grave”.  La normativa, che pare piuttosto riferita ai fatti penalmente rilevanti, è comunque applicabile  anche ai giudizi erariali.

Per i dipendenti degli enti locali la normativa preesistente (art.67 d.P.R.268/1987 di disciplina delle norme dell’accordo sindacale 1987-1989) prevedeva il diritto al rimborso su cui si è pronunciata la Cassazione (ord. Cass.Sez. Lav..17874/2018) esprimendo  il principio generale che la condotta  non deve essere il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro. Così anche Cass. n. 5718/2011 e Cass.16396/2017. Il  c.c.n.l. del 14 settembre 2000 stabilisce peraltro che l’ente locale assume a suo carico il patrocinio del dipendente chiamato in giudizio penale o amministrativo a rispondere di fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni, purchè non vi sia dolo o colpa grave e non sussista conflitto di interessi, ma non prevede il rimborso delle spese qualora il dipendente si faccia difendere da un legale di sua fiducia. Per le altre categorie del personale pubblico tra cui i dipendenti e dirigenti degli enti pubblici non economici e delle agenzie fiscali la normativa prevede analogamente,  nei contratti collettivi nazionali, il patrocinio a cura dell’ente  e anche in questo caso non sono previste norme sul rimborso delle spese legali affrontate. Come detto, ogni categoria la cui disciplina è oggetto di contrattazione collettiva ha una sua normativa  peraltro simile a quella dei c.c.n.l delle categorie citate. La Cassazione con l’ordinanza n.32258/2021 ha evidenziato che nel nostro ordinamento manca un principio generalizzato in materia di rimborso delle spese sostenute dal dipendente pubblico per la propria difesa in giudizio ( così anche Cass.6227/2009)  ed ha applicato pertanto la normativa del c.c.n.l. del caso di specie.

Non appare rispondente al diritto del dipendente pubblico, definitivamente prosciolto nel merito da  domande di responsabilità erariale per fatti di ufficio, la normativa  vigente che richiede il patrocinio a cura dell’ente da affidare ad un legale di comune gradimento, subordinandolo alle ipotesi in cui  si tratti dell’esercizio di compiti istituzionali, non vi sia dolo o colpa grave, non vi sia conflitto di interessi con l’ente.