Il rimborso delle spese legali al dipendente pubblico per la difesa davanti alla Corte dei Conti

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Dettaglio di antico dipinto olio su tela Flagellazione di Gesù

La questione della liquidazione e del rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico per la sua difesa davanti alla Corte dei Conti, in caso di definitivo proscioglimento, ancora oggi non si può dire definitivamente risolta.

Nel tempo, sono state introdotte norme che hanno ristretto il diritto al rimborso delle spese defensionali sostenute da un dipendente pubblico sottoposto al giudizio di responsabilità amministrativa  dinnanzi la Corte dei Conti.

Dapprima con l’art. 3 comma 2 bis del D.L. 543/1996 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 639/1996 è stato previsto che “In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza“.

Di seguito è stato introdotto, dall’art. 18 comma 1 del D.L. n. 67/1997 convertito con modificazioni dalla legge 135/1997, un parere dell’Avvocatura di Stato che deve riconoscere la congruità delle spese legali per consentirne il rimborso a favore del dipendente di amministrazione statale definitivamente prosciolto dalla Corte dei Conti dalla responsabilità amministrativa imputatagli.

La situazione è peggiorata con l’art. 10 bis, comma 10, del D.L. n. 203/2005, convertito dalla legge n. 248/2005, d’interpretazione autentica che così recita: “le disposizioni dell’art. 3, comma 2-bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”. La norma è stata integrata dall’  art. 17, co. 30 quinquies, del D.L. n. 78/2009, convertito dalla L. n. 102/2009, che ha disposto che: “all’art. 10-bis, comma 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: procedura civile, sono inserite le seguenti: non può disporre la compensazione delle spese del giudizio”.

La normativa dunque, per tutti i casi di responsabilità erariale, sia riferiti ad un dipendente dello Stato sia a quello di altre amministrazioni pubbliche,  ad una prima lettura, sembra attestare che  il rimborso delle spese legali da questo sostenute  per un processo erariale del tutto privo di fondamento, non si basa su una valutazione dell’amministrazione che si rimetta alle tariffe professionali vigenti, ma alla liquidazione fatta dalla stessa Corte dei Conti con l’aggiunta del parere dell’Avvocatura di Stato.

Una normativa a dir poco punitiva, che si aggiunge ai patemi, ed ai danni che il giudizio erariale può comportare alla carriera del dipendente pubblico, in base alla quale questi, quando prosciolto definitivamente, si può vedere costretto a pagare il compenso al suo difensore, pur richiesto secondo le tariffe professionali vigenti, in misura ben superiore rispetto a quello che, in modo inoppugnabile, viene  liquidato dalla Corte dei Conti.

Un caso sintomatico della discrasia tra liquidazione della Corte dei Conti e parcella secondo i minimi tariffari  del difensore è quello di un giudizio per una condanna per responsabilità erariale di un dirigente pubblico ad € 61 milioni e la liquidazione delle spese di primo e secondo grado operata dalla Corte dei Conti. Per il primo grado sono stati liquidati € 2.090,00, per il secondo grado di appello € 1.175,00. Ciò a fronte di una parcella ai minimi tariffari che il difensore si è fatta comprovare da ordinanza del Tribunale a seguito di ricorso  ex art.702 bis c.p.c. , di € 114.229,00.

L’interessato, che doveva pagare il difensore come da ordinanza del Tribunale, ma che aveva avuto dalla Corte dei Conti la irrisoria, mortificante liquidazione delle spese sopra indicata, ha proposto un ricorso al Tribunale del Lavoro per vedersi riconosciuto il diritto al rimborso cosi come dovuto in base alle tariffe minime professionali ritenute corrette dalla detta ordinanza. La sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma n. 8716/ 2016 ha riconosciuto il diritto al rimborso così come richiesto.

A seguito di appello dell’amministrazione, la Corte di Appello di Roma sezione lavoro ha depositato una sentenza (n. 32/2021) di totale riforma assumendo una posizione di ritenuta tutela della spesa pubblica ed a tutto scapito del povero dirigente soggetto ad un erroneo processo di responsabilità per ben 61 milioni di euro e che deve, secondo la sentenza, pagare in proprio la parcella del  suo difensore.

Dello stesso tenore punitivo della sentenza della Corte d’Appello citata è la sentenza della  Cassazione Sezione Lavoro n. 19195/2013. Ma questa è l’unica sentenza di Cassazione ad aver ricondotto il diritto al rimborso delle spese legali alla liquidazione della Corte dei Conti. Le sentenze Cass. S.U. n. 17014/2003 e 478/2006, ed anche Cass. S.U. 6996/2010 e 5918/2011, hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle spese extraprocessuali, essendo di tale natura le spese sostenute in esito al mandato conferito al proprio difensore, e pertanto  non  potendosi estendere alle stesse la liquidazione delle spese effettuata dalla Corte dei Conti aventi natura esclusivamente processuale.

Sulla questione deve essere tenuta presente la sentenza della Corte Costituzionale n.189/2020, la cui  corretta lettura ed interpretazione è stata omessa da parte della Corte d’Appello.

La sentenza del Giudice delle leggi  ha  affermato “Al riguardo va rilevato che – ferma restando la regolamentazione da parte del giudice contabile delle spese del relativo giudizio – deve essere distinto il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l’incolpato, poi assolto o prosciolto, e l’amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa. Sia la giurisprudenza ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014)”.  Nella sentenza del Consiglio di Stato,  Sez. III, del 2017 si afferma l’effettività del diritto al rimborso e si legge: “Diversamente opinando si ammetterebbe infatti che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente, condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile ,come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato (come apparentemente successo nella specie, all’esito del secondo grado di giudizio innanzi la Corte dei Conti) o addirittura l’eventuale compensazione delle spese (come avvenuto nel caso di specie, con la sentenza di primo grado del giudice contabile) il che sarebbe senz’altro incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso sopra affermato, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense”.

La Corte Costituzionale ha richiamato detta statuizione, riferendosi altresì alle sentenze della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014, affermative dello stesso principio e non facendo alcun riferimento alla sentenza della Sezione Lavoro n. 19195/2013.

La questione del diritto al rimborso delle spese extraprocessuali ossia delle spese sostenute per il pagamento del proprio difensore secondo tariffa è ancora sub iudice, essendo stato proposto dall’interessato ricorso in cassazione per l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello che gli ha negato il diritto al rimborso.

Ci si augura che la saggezza della Corte Costituzionale, che ha fatto richiamo a decisioni altrettanto sagge di Consiglio di Stato e di Cassazione SS.UU., sia seguita anche dalla sezione della Cassazione che si pronuncerà sul ricorso in oggetto.

Sarebbe una decisione di giustizia rispetto a quelle punitive che pongono in capo al dipendente pubblico prosciolto definitivamente nel giudizio di responsabilità erariale, la spesa per la sua difesa secondo i parametri vigenti e che affermano che la liquidazione delle spese che viene rimborsata dall’amministrazione di appartenenza  è solo quella stabilita  dalla Corte dei Conti.