La revocatoria dell’atto di scissione societaria

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Michelangelo Buonarroti. Sibilla Eritrea, 1508-1510

1) La Sezione XVI Civile del Tribunale di Roma, specializzata in materia di imprese, con la sentenza n. 12283/20 del 14.9.2020, ha confermato l’orientamento del Tribunale capitolino che ritiene ammissibile la domanda revocatoria ex art. 2901 cod. civ. avente ad oggetto un atto di scissione societaria.

2) Il Tribunale di Roma, in continuità con un indirizzo già assunto in precedenti pronunce (sent. n. 21610/2016 e n. 2819/2017), ha affermato che il rimedio di cui all’art. 2901 cod. civ. ben può essere esperito anche in relazione agli atti di “disposizione patrimoniale”, posti in essere nell’ambito di operazioni societarie di scissione. Ciò, in quanto alla luce dell’inequivoco disposto del primo comma dell’art. 2506 c.c. (di portata sostanzialmente non dissimile da quello dell’art. 2504 septies c.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto delle società del 2003), la scissione parziale di una società, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società contro l’assegnazione delle azioni o delle quote di queste ultime ai soci della scissa, si traduce in una fattispecie effettivamente traslativa, che comporta l’acquisizione, da parte della società beneficiaria, di valori prima non esistenti nel suo patrimonio; e ciò, per effetto della manifestazione di volontà unilaterale della società scissa contenuta nell’atto di scissione (in questo senso, cfr., in riferimento alla disciplina legale in vigore prima della riforma, Cass., 13 aprile 2012, n. 5874).

Secondo la sentenza in commento, l’operazione straordinaria in questione – che è certamente di natura organizzativa – ha, quale effetto normale, quello del mutamento della titolarità soggettiva (dalla scissa alla beneficiaria) di una parte del patrimonio della società che l’operazione ha deciso: l’atto di scissione è, sotto questo profilo, atto dispositivo onde, nella sussistenza dei restanti presupposti di cui all’art. 2901 c.c., è passibile di revocatoria su istanza del creditore o dei creditori della società scissa.

Viene poi osservato che, alla declaratoria giudiziale di inefficacia relativa ex art. 2901 c.c., non è di ostacolo il divieto di pronunciare l’invalidità dell’atto di scissione, imposto al giudice dall’art. 2504-quater c.c. (applicabile all’atto di scissione per effetto del rinvio recettizio formale a tale disposizione di legge contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2506-ter c.c.).

Invero, la dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo, consistito nell’assegnazione alla società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa, non interferisce sulla validità dell’atto di scissione bensì, in considerazione della natura relativa dei suoi effetti, consente ai creditori della società scissa di esercitare sui beni stessi, appartenenti alla società beneficiaria, azione esecutiva ex art. 2902 c.c.

Del resto, nello stesso ordine di concetti la dominante giurisprudenza, anche di legittimità, ha avuto modo di affermare il principio della non interferenza, sulla validità dell’atto costitutivo di società di capitali, dell’azione revocatoria ordinaria avente per oggetto il conferimento di beni in tale società da parte di una delle parti del contratto sociale (cfr. Cass., 11 marzo 1995, n. 2817; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1804; Cass., 22 ottobre 2013, n. 23891).

Viene altresì evidenziato che l’esperibilità del rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c. non può escludersi in ragione della esistenza, in favore dei creditori della scissa “per titolo anteriore”, di uno specifico strumento di tutela anticipata, quale quello previsto dall’art. 2503 c.c. (applicabile alla scissione in forza del richiamo contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2506 ter c.c.), a mente del quale i creditori possono fare opposizione alla scissione entro sessanta giorni dalla iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese.

Invero, l’opposizione ex art. 2503 c.c. e l’azione revocatoria costituiscono strumenti di tutela profondamente diversi, per modo che “appare difficile ritenere che il primo rimedio possa considerarsi sostitutivo del secondo, che assorbirebbe”.

Segnatamente, l’opposizione paralizza l’esecuzione dell’operazione di scissione impedendo il venire ad esistenza dell’atto pregiudizievole, mentre la revocatoria lo rende inefficace ex post e nei limitati confronti del creditore istante.

Non va taciuto, poi, che il rimedio contemplato dall’art. 2503 c.c. ha carattere di specialità, rispetto all’actio pauliana, avente carattere generale. Pertanto, non può negarsi al creditore il diritto di ricorrere alla disciplina generale, oltre che a quella speciale, atteso che le restrizioni della tutela dei creditori non sono giustificabili ove non espressamente previste; del resto nessuna norma di diritto positivo impedisce che, ai creditori sociali, possano essere riconosciuti due o più mezzi di garanzia, peraltro dissimili.

Inoltre, l’azione revocatoria è rimedio esperibile – nella sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c. – anche da parte di coloro che abbiano acquistato ragioni di credito, nei confronti della scissa, dopo l’iscrizione della delibera di scissione nel Registro delle Imprese, laddove, per converso, il rimedio contemplato dall’art. 2503 c.c. è accordato solo ai creditori per “titolo anteriore”.

Ritiene, infine, la sentenza in commento che all’applicazione della norma di cui all’art. 2901 c.c. non sia neppure di ostacolo la disciplina della solidarietà dal lato passivo, conseguente alla scissione ex art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. e della normativa specifica prevista in materia tributaria.

Difatti, costituisce principio di diritto del tutto pacifico nella giurisprudenza di legittimità e di merito quello secondo cui il compimento di un atto di disposizione del proprio patrimonio (comportante diminuzione della garanzia di cui all’art. 2740 c.c.) da parte di un coobbligato solidale, facoltizzi il creditore ad esercitare nei suoi confronti l’azione revocatoria (ricorrendone i presupposti), a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adempimento, dal momento che la solidarietà dal lato passivo per l’adempimento di obbligazione pecuniaria determina una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito, tra loro distinti ed autonomi, fra il creditore ed ogni singolo debitore solidale ed aventi in comune solo l’oggetto della prestazione, tanto che il creditore ha la facoltà (art. 1292 c.c.) di scegliere il condebitore solidale a cui chiedere l’integrale adempimento (potendo anche rinunciare alla solidarietà nei confronti di uno dei condebitori), con la conseguenza che la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. grava sul patrimonio di ciascun coobbligato, separatamente e per l’intero credito (cfr., in questo senso, Cass., 1 agosto 1960, n. 2264; Cass., 13 marzo 1987, n. 2623; Cass., 21 novembre 1990, n. 11251; Cass., 22 marzo 2011, n. 6486).

Non va, d’altronde, trascurato che la solidarietà passiva non esclude la necessità per il creditore di munirsi di titolo esecutivo da far valere nei confronti di ciascun debitore solidale e la necessità di avviare più procedure esecutive, nell’ambito delle quali partecipare con gli altri creditori di ciascun ente, mentre la conseguenza della revocatoria è l’inefficacia dell’atto con conseguente possibilità di agire in via esecutiva nei soli confronti del debitore originario con eventuale intervento dei soli creditori di detto debitore.

La sentenza in commento ha motivatamente ritenuto di discostarsi dal diverso orientamento assunto dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 2043/2019, con cui, in riforma di una sentenza proprio del Tribunale di Roma, è stata pronunciata l’inammissibilità della azione revocatoria dell’atto di scissione. Nella sentenza n. 12283/20 si sostiene infatti che l’orientamento già assunto nel senso della ammissibilità della domanda appare in linea con la pronuncia della Suprema Corte che, con ordinanza del 4 dicembre 2019 n. 31654, ha ritenuto che la “revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria è sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c. che è finalizzata a farne valere l’invalidità”.

3) Alla luce di quanto sopra esposto, si evince che il tema della ammissibilità della azione prevista dall’art. 2901 cod. civ. in caso di scissione societaria è dibattuto in giurisprudenza, ma recenti pronunce, tra cui la sentenza del Tribunale di Roma n. 12283/20 oggetto del presente commento, ne hanno motivatamente affermato l’ammissibilità.

Da una parte, si può riscontrare l’orientamento che giunge ad una soluzione negativa, qualificando la scissione come un’operazione di riorganizzazione societaria e aziendale alla quale sarebbe estraneo ogni fenomeno successorio nei diritti della società scissa suscettibile di giustificare il ricorso all’azione pauliana, e ravvisando un carattere di specialità nella disciplina societaria rispetto ai rimedi previsti a tutela dei creditori. Dall’altra parte, è consistente l’orientamento che riconosce all’azione revocatoria il carattere di generale strumento a tutela dei creditori, che non incide sulla validità dell’operazione e, quindi, sulla sua stabilità, e la cui utilità si giustifica in ragione di situazioni nelle quali l’operazione straordinaria può risultare lesiva della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., nonostante le tutele approntate dalla disciplina societaria.

Tra le pronunce di merito favorevoli all’ammissibilità dell’azione revocatoria si segnalano le seguenti: Trib. Benevento 17 settembre 2012, in www.ilcaso.it, Sez. giur., doc. 104497, pubbl. 4 giugno 2014; Trib. Venezia 5 febbraio 2016, in Fall., 2017, 51; Trib. Roma 16 marzo 2016, in Riv. not., 2016, II, 932; Trib. Roma 16 agosto 2016, in Societàpiù.it, 2016; Trib. Roma 7 novembre 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Pescara 17 maggio 2017, in detta Rivista, 2017, 1082; Trib. Napoli 24 luglio 2017, in www.ilcaso.it, Sez. giur. 19264, pubbl. 14 marzo 2018.

Le pronunce di merito che negano l’ammissibilità dell’azione revocatoria, si fondano invece sulla previsione, ex art. 2506-quater cod. civ., della responsabilità solidale delle società interessate alla scissione nei limiti del “valore effettivo del patrimonio netto”. Tale previsione dovrebbe considerarsi assorbente dell’esigenza di tutela dei creditori, escludendo quindi la sussistenza del requisito dell’eventus damni che legittima l’azione revocatoria.

Tale impostazione è stata criticata, in quanto la disciplina prevista dall’art. 2506-quater cod. civ. non consente di poter escludere che la consistenza dell’insieme dei beni e diritti destinati alla garanzia patrimoniale venga alterata dalla operazione di scissione.

I creditori sono infatti esposti all’eventualità di una diminuzione patrimoniale non strettamente salvaguardata dalla responsabilità solidale, perché le scissioni possono essere strutturate con conguagli in denaro a favore del socio mediante l’utilizzo di disponibilità liquide di una delle società interessate dalla scissione, oppure, l’operazione potrebbe contemplare distribuzioni di azioni o quote non proporzionali tra soci che potrebbero risolversi in “assegnazioni” patrimoniali tra le società interessate che incidono sulla consistenza effettiva. Inoltre, nelle operazioni di scissione societaria con assegnazione di beni il metodo valutativo maggiormente utilizzato è quello patrimoniale semplice, con la conseguenza che il trasferimento di beni e rapporti giuridici, specie nel segno della continuità aziendale, può essere caratterizzato da elementi patrimoniali suscettibili di significative rivalutazioni o svalutazioni dettate da un andamento del mercato prevedibile al momento dell’operazione e non riflesse nella stima del patrimonio netto.

Le assegnazioni possono quindi incidere sulle prospettive di soddisfacimento dei creditori, che, in una visione dinamica della disciplina di riferimento, possono venirsi a trovare in una condizione deteriore da quella che dovrebbe garantire la responsabilità solidale, in ciò potendosi ravvisare l’eventus damni legittimante l’azione revocatoria.

Se a queste considerazioni si aggiunge che la giurisprudenza è sensibile al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale e riconosce alla revocatoria, come agli altri mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, il carattere di strumento destinato a tutelare anche le situazioni nelle quali la soddisfazione del credito sia divenuta più difficile o incerta (Cass. 19207/18, 19963/05), non si può negare l’interesse ad agire con questo rimedio.

Tale impostazione è stata criticata in dottrina da chi sostiene che l’azione revocatoria dell’atto di scissione è incompatibile con i mezzi di tutela previsti per i creditori, ossia l’opposizione ex art. 2503 c.c., richiamato dall’art. 2506 ter, comma 5, c.c., cui si attribuisce il carattere di mezzo speciale di protezione della garanzia patrimoniale riservato ai creditori, nonché il comma 2 dell’art. 2504 quater c.c., che riconosce agli stessi un generico diritto al risarcimento dei danni.

Su queste basi è stato affermato che il creditore che omette di proporre l’opposizione alla scissione, ritiene de facto non necessario avvalersi dal rimedio, essendo consapevole che l’atto di disposizione non influisce sulle garanzie patrimoniali a soddisfacimento del credito.

Va opposto a tale impostazione che, come già dedotto, i rimedi previsti dal Codice Civile in caso di scissione societaria non sono ostativi all’esercizio della azione revocatoria e che la previsione della facoltà di opposizione del creditore ha presupposti e finalità ben diverse rispetto alla revocatoria.

La dottrina ha avuto infatti modo di rimarcare la diversità di presupposti ed effetti dei due rimedi (si veda il commento di Paolo Pototschnig all’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli 20.3.2018 n. 1033 in Le Società, 12/2018).

Le condivisibili argomentazioni a sostegno della profonda diversità degli istituti muovono dalla considerazione secondo cui, l’opposizione alla scissione, come quella alla fusione e analogamente ad altre figure assimilabili quali l’opposizione alla riduzione del capitale, mira a impedire l’operazione, togliendo validità ed efficacia agli atti del suo processo di realizzazione e può fondarsi anche su vizi genetici dell’operazione stessa, che rimangono estranei alla revocatoria per il tenore preclusivo sancito dall’art. 2504 quater, comma 1, c.c., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2506 ter c.c. Legittimati sono solo i creditori anteriori, pur potendosi considerare tra questi anche i titolari di diritti personali non ancora esigibili, mentre la dichiarazione d’inefficacia relativa è alla portata anche dei creditori successivi alla scissione.

E non convince la giustificazione del diverso trattamento che dovrebbero meritare questi ultimi, poiché tenuti a farsi carico, in quanto conoscibili, degli effetti della scissione al momento dell’assunzione delle obbligazioni da parte delle società interessate.

Si tratta di un argomento ingiustamente discriminatorio a fronte di un atto complesso, a formazione progressiva, i cui connotati potenzialmente lesivi possono non essere immediatamente percepibili sia nella fase di completamento procedurale dell’operazione, sia successivamente, anche per le variabili che possono contraddistinguere i momenti informativi del procedimento.

Su questo piano, l’esperibilità della revocatoria rappresenta uno strumento di tutela anche per i creditori anteriori, i quali abbiano avuto contezza del pregiudizio loro arrecato una volta decorso il termine per avvalersi dello strumento di cui all’art. 2503 c.c., e sempre purché ricorrano i presupposti soggettivi e oggettivi dell’azione.

La prospettiva dell’effettività della tutela giurisdizionale mette poi in luce il fatto che la disciplina della scissione può consentire un significativo indebolimento dell’opposizione. Anzitutto, soci e obbligazionisti possono condizionare, ex art. 2506 ter, comma 4, c.c., il flusso informativo dei dati mediante i quali i terzi sono messi in grado di conoscere i dettagli aziendali ed economici dell’operazione.

Inoltre, la scissione può comunque essere attuata, ex art. 2445, comma 3, c.c. richiamato dall’art. 2503 c.c., in forza di un provvedimento di stampo cautelare, basato su una cognizione sommaria, che l’autorizzi pur in pendenza dell’opposizione.

Non possono poi escludersi errori e lacune nell’esatta individuazione delle posizioni dei creditori rispetto alle quali, sempre secondo le previsioni dell’art. 2503 c.c., valutare il loro consenso all’esecuzione dell’operazione, ovvero stabilire il pagamento dei non consenzienti o il deposito degli importi loro dovuti, tutte fattispecie che legittimano l’attuazione dell’operazione prima del decorso del termine dell’opposizione.

Ancora, si può ottenere l’esenzione dal consenso, dal pagamento o dal deposito sulla base di una relazione di una società di revisione che la giustifichi in rapporto alla solidità della situazione patrimoniale e finanziaria; una relazione soggetta, tanto più a fronte delle ricordate incertezze sui criteri di stima aziendale, a valutazioni che possono presentare margini di aleatorietà ed errori che, in concreto, potrebbero non essere riparabili sulla scorta dalla responsabilità della società stessa ex artt. 2503, comma 1 e 2501 sexies, comma 6, c.c. L’utilità del rimedio della opposizione risulterebbe poi ulteriormente minata nei casi in cui la giurisprudenza dovesse seguire un orientamento che predilige il perfezionamento e la stabilità dell’operazione. Ci si riferisce all’opinione secondo cui le iscrizioni dell’atto di fusione e scissione produrrebbero comunque l’effetto sanante nonostante la pendenza dell’opposizione, rendendo quest’ultima funzionale solo ad un risarcimento dei danni (v. A. Genovese, Le Società per azioni, Codice Civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa – G.B. Portale, Milano, 2016, 3370 e ss).

Tale opinione, seppure non condivisibile sul piano di un legittimo iter del procedimento a formazione progressiva che caratterizza l’operazione, potrebbe portare al risultato di una potenziale vanificazione dell’opposizione dei creditori.

Per quanto attiene alla previsione della responsabilità risarcitoria delle società interessate dalla scissione, il comma 2 dell’art. 2504-quater c.c. è norma estremamente generica e, richiamando alla mente comportamenti sconfinanti nell’illecito aquiliano, non specifica in alcun modo quali profili di responsabilità possano far sorgere un diritto al risarcimento dei danni (anche) in capo ai creditori.

4) Va infine evidenziato che la questione dell’ammissibilità dell’azione revocatoria della scissione societaria è stata sottoposta dalla Corte d’Appello di Napoli alla Corte di Giustizia Europea mediante rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (C.d.App. Napoli 20.3.2018, n. 1033).

La Corte di Giustizia, con sentenza n. 394 del 30 gennaio 2020, sulla interpretazione da dare alla direttiva 82/891/Cee del Consiglio (sesta direttiva) artt. 12 e 19 si è pronunciata nel senso che “l’articolo 12 della sesta direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa alle scissioni delle società per azioni, come modificata dalla direttiva 2007/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa direttiva 82/891, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione. L’articolo 19 della direttiva 82/891, come modificata dalla direttiva 2007/63, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa direttiva 82/891, il quale prevede il regime delle nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile a tali creditori”.

Anche secondo la Corte di Giustizia, dunque, la disciplina societaria circa i rimedi a tutela dei creditori non ne assicura l’idoneità al raggiungimento del fine non potendo, per le diverse ragioni esposte, riferirsi a tutte le possibili situazioni in cui può manifestarsi l’esigenza di salvaguardare la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. rispetto ad operazioni di scissione. Ne consegue che, anche in aderenza ai principi comunitari, l’azione revocatoria dell’atto di scissione a tutela dei creditori deve ritenersi ammissibile.